La luce del pomeriggio e il segreto che può distruggere tutto
Nella piccola casa di Bahar, la luce del pomeriggio filtrava con timidezza tra le tende, proiettando riflessi dorati sul tavolo della cucina. Un mazzo di fiori ormai appassiti, dimenticato in un vaso di vetro, sembrava il simbolo silenzioso di un tempo fermo: un momento preciso, segnato da dolore, malattia e segreti mai confessati. In quel silenzio sospeso, Enver camminava con passo lento da una stanza all’altra, immerso nei suoi pensieri.
Da quando si era trasferito a casa della figliastra, le giornate erano diventate una routine immutabile: preparare la colazione per Nissan e Doruk, controllare che Bahar prendesse le medicine e, soprattutto, preservare quell’equilibrio fragile che poteva spezzarsi da un istante all’altro. Ma nella mente di Enver non smetteva di riaffiorare il ricordo di Sirin, la figlia biologica, e di quelle parole crude rivolte ai bambini: “La vostra mamma potrebbe morire”. Un colpo al cuore che aveva fatto crollare la serenità domestica come un castello di carte.
Fu proprio per proteggere Bahar e i nipoti che Enver aveva lasciato la propria casa. Ogni volta che la guardava, pallida e stanca, si riaccendeva in lui un dolore profondo. Lei aveva già perso il marito Sarp, aveva lottato per crescere due figli da sola e ora stava combattendo una malattia che la consumava giorno dopo giorno.
La sera, quando i bambini dormivano, Enver restava in salotto ad ascoltare il ticchettio dell’orologio, pensando a come la vita, nonostante tutta la pazienza e la dedizione, non seguisse mai i piani. L’imprevisto bussava sempre alla porta. E quella volta arrivò sotto forma di una voce bassa e tesa.
Batir, il proprietario del negozio di telefonia, lo prese da parte, controllò che nessuno sentisse e mormorò: “Enver, Sarp è vivo”. Quelle parole lo colpirono come un macigno. Era impossibile: da anni tutti lo credevano morto. La sua assenza aveva definito la vita di Bahar e dei bambini, alimentando sofferenze e rinunce. Sapere che fosse vivo e che nessuno avesse avuto il coraggio di dirlo a Bahar fece nascere in Enver un misto di rabbia e istinto di protezione.
L’unica persona con cui poteva confrontarsi era Sirin. Il sospetto che fosse coinvolta diventò subito certezza. Quella sera, con il sole che tramontava tingendo di rosso la città, Enver andò da lei.
Quando la porta si aprì, l’odore dolciastro del profumo si mescolò a quello del tè appena versato. Sirin, in vestaglia di seta rossa, stava fissando il telefono. Il sorriso svanì vedendo il padre. Enver entrò senza salutare e con voce ferma le chiese: “Da quanto tempo sai che Sarp è vivo?”.
Sirin cercò di sviare, ma la pressione di Enver crebbe fino a farle ammettere di avere un accordo con Suat, il suocero di Sarp nella sua nuova vita. Lei avrebbe taciuto, e in cambio avrebbe ricevuto vantaggi personali. Per Enver fu uno schiaffo morale: stava proteggendo un uomo che aveva abbandonato la famiglia per denaro.
Decise che voleva incontrare Sarp. Sirin finse di acconsentire, ma inviò subito un messaggio a Suat: “Mio padre vuole incontrare Sarp. Fallo sparire o tienilo lontano da Bahar”.
La sera dell’incontro, Istanbul era avvolta da un vento freddo e da nuvole grigie. L’indirizzo che Sirin gli aveva dato lo portò a un edificio abbandonato. Entrando, una voce roca ma inconfondibile lo chiamò: era Sarp. Non era più l’uomo sorridente delle foto: il volto segnato, la barba incolta, negli occhi un misto di orgoglio e colpa.
Enver gli si avvicinò: “Così sei vivo. E non hai trovato il coraggio di dirlo a tua moglie”.
Sarp, con lo sguardo basso, rispose: “Ho una nuova vita, dei figli, una moglie che conta su di me”. La rabbia di Enver esplose: “E Bahar? E i tuoi figli che hai lasciato senza un padre?”.
In quel momento entrò Suat, elegante e freddo. Due uomini armati lo seguirono. L’atmosfera si fece tesa, ma Sarp, vedendo il pericolo, invitò Enver a seguirlo fuori.
Corsero fino a un taxi, ma appena seduto Enver fu colpito da un dolore violento al petto. Il respiro si fece affannoso, la vista offuscata. Sarp urlò all’autista di correre in ospedale.
Quando si svegliò, Enver si trovava in una stanza d’ospedale, accanto a lui Atice, che gli rivelò che aveva avuto un infarto. Ma lui ricordava bene chi lo aveva soccorso: “Era Sarp, vero?”. Il silenzio di Atice fu una conferma. Enver decise che doveva rivederlo, nonostante i tentativi di Atice di farlo desistere.
Nel corridoio, Ceida e Yeliz discutevano preoccupate: se Enver avesse incontrato Sarp, avrebbe raccontato tutto a Bahar, e questo non poteva accadere.
Intanto, dall’altra parte della città, Sarp sedeva in cucina con la nuova moglie Piril, ma il suo sguardo era perso nel vuoto. Una domanda gli martellava in testa: “Per quanto ancora potrò tenerla lontana dalla verità?”.
Il destino stava per intrecciare di nuovo le vite di tutti. E quando sarebbe successo, nessuno ne sarebbe uscito indenne.