LA NOTTE NEL CUORE: HIKMET CATTIVA PER SCELTA O PER DESTINO?

Perché Hikmet è così cattiva? Narrazione su Hikmet Sanalan

Apriamo il sipario sulla villa degli Sanalan, un luogo dove il lusso è esibito in ogni dettaglio: il marmo lucido riflette i lampadari che pendono come promesse di potere, e i corridoi sembrano amplificare ogni passo, specialmente quando chi li calpesta non appartiene a questo mondo dorato. Tra queste mura cammina Hikmet, e il suo ingresso è immediatamente imponente e inconfondibile. Sguardo tagliente, parole precise e taglienti come scalpelli, decisioni che non conoscono pietà.

Per molti telespettatori, Hikmet è la cattiva per eccellenza: l’antenna delle tensioni familiari, la donna che trama, manipola e sacrifica tutto pur di vincere. Tuttavia, se si scava sotto la superficie, ascoltando anche le parole dell’attrice Esra Dermanchoglu, emerge un ritratto più complesso, fatto di solitudine, vergogna e ambizione, forgiata dalla necessità più che dal desiderio di dominio.

Chi è Hikmet all’interno della storia? Non la matriarca indiscussa della famiglia, ma comunque un nodo centrale. Sorella di Samet, zia di Chihan, madre o presunta madre di Sevilai. Ogni sua mossa strategica ha uno scopo preciso: preservare lo status economico e sociale degli Sanalan. Insieme a suo fratello, Hikmet orchestra piani che sulla carta sembrano freddi e crudeli: l’inganno dell’infarto finto, le pressioni su Sevilai per un matrimonio di interesse. Sono gesti calcolati, privi di spontaneità, che mostrano una donna abituata a ragionare in termini di risultati e non di sentimenti.

Ma capire Hikmet significa interrogarsi sul perché una donna arrivi a costruire un castello di strategie anziché ponti d’affetto. La sua biografia emotiva svela molto: cresciuta senza protezioni sufficienti, con una famiglia incapace di sostenerla davvero, Hikmet è stata spinta a diventare ciò che è per sopravvivere. Esra Dermanchoglu racconta un personaggio emarginato, solo, affamato di amore e di verità. Dietro l’immagine stereotipata della “Megera” emerge una ferita aperta che cerca di guarire con l’unico mezzo che conosce: il controllo.

La notte nel cuore, Esra Dermancıoğlu: "Sicuri che Hikmet sia cattiva?" |  Mediaset Infinity

Nella serie televisiva, questa interiorità ferita prende forma attraverso comportamenti concreti: manipolazioni, ricatti emotivi, mosse strategiche che talvolta possono sembrare crudeli. La rivelazione sull’adozione di Sevilai ne è un esempio: la notizia che la ragazza non è figlia biologica scuote l’intera famiglia, e Hikmet la trasforma in uno strumento per consolidare il proprio potere. Non si tratta semplicemente di cinismo: è la dimostrazione che ha imparato a recuperare ciò che le era stato negato – rispetto, sicurezza, risorse – attraverso strategie calcolate.

Il prezzo del suo controllo è alto, e la serie lo mostra con chiarezza. Hikmet non gode nel far soffrire, ma calcola il dolore altrui come parte di un equilibrio necessario per non cadere nell’indigenza o nel disonore che teme. Quello che appare come cattiveria è, in realtà, una difesa narcisistica e sociale. La scena del matrimonio forzato di Sevilai è paradigmatica: non è solo fredda strategia, ma la cristallizzazione di un pensiero secondo cui i legami affettivi devono piegarsi al potere reale, non all’amore spontaneo. Legando Sevilai alla famiglia giusta, Hikmet riduce i rischi di perdita patrimoniale e di reputazione, proteggendo ciò che ha conquistato con durezza.

Questa protezione ha però un costo emotivo: svuota ogni empatia, lasciando all’esterno l’etichetta di donna cattiva. Ma la serie dedica anche spazi di vulnerabilità al personaggio: flashback, gesti inaspettati, rimpianti e momenti di debolezza che mostrano una donna che ha pagato il prezzo della propria ascesa. La cattiveria non è innata, è un abito indossato per sopravvivere e sostenere la propria posizione.

L’interpretazione di Esra Dermanchoglu rende credibile questa ambivalenza. Piccoli gesti, pause calibrate, occhi che comunicano fragilità rendono Hikmet viva e complessa: anche quando pronuncia parole dure, traspare sempre una dimensione vulnerabile, la coscienza del meccanismo di autodifesa che guida ogni sua azione. Per lo spettatore, il percorso tra odio e simpatia verso Hikmet è così costruito non solo dal testo, ma dalla performance stessa.

Un altro elemento che rende Hikmet antipatica è il suo modo di relazionarsi con altre donne: Sumru, Nihayet, Sevilai. Scontri e alleanze fragili si alternano, mostrando un mondo femminile dove il potere è scarsamente distribuito: chi non lo conquista rischia di perderlo. Hikmet ha imparato presto a occupare lo spazio prima di poterlo godere; la sua strategia, tanto meschina quanto metodica, è una forma di sopravvivenza.

La sceneggiatura sfrutta la tecnica della rivelazione a goccia per mantenere alta la tensione e la pietà verso il personaggio. Ogni scoperta sul passato degli Sanalan – l’adozione di Sevilai, le manipolazioni sui gemelli – stimola il dibattito tra pubblico e critica: è giusto odiare Hikmet o è doveroso comprenderla? Questi colpi di scena impediscono allo spettatore di restare impassibile, ricordando che la cattiveria può essere il prodotto di ferite profonde.

Ogni azione di Hikmet, dagli attacchi emotivi alle menzogne sistematiche, diventa così una mappa mentale: prevede tradimenti, minacce, controlla le apparenze. Quando il fine è proteggere il castello sociale, il prezzo può essere la propria umanità. Hikmet lo paga ogni volta, e la serie mostra quanto alto sia il totale. Dal punto di vista narrativo, il personaggio è cruciale: motore di tensioni, generatore di conflitti, catalizzatore della trama. Senza di lei, le relazioni si appiattirebbero; con lei, ogni confronto diventa potenziale esplosione.

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Eppure anche Hikmet conosce momenti di cedimento: quando la maschera scivola, la voce si incrina, lo sguardo tradisce nostalgia per tempi migliori. Sono momenti che ricordano che l’antipatia spesso è giudizio rapido, e che dietro la durezza si cela la paura di non bastare, di dover contare su nessuno, di perdere ciò che è stato faticosamente conquistato. Paure che a volte rendono crudele, ma non meno umana.

La domanda finale resta sospesa: Hikmet è cattiva per scelta o perché non ha avuto alternative? La serie propone una risposta ambivalente: la cattiveria è una strategia, sì, ma nata da ferite antiche, mancanze, privazioni. È il modo in cui una donna tenta di garantirsi un posto in un mondo duro, non una giustificazione morale, ma una spiegazione psicologica e sociale. Ed è questo paradosso, crudele e umano insieme, che rende Hikmet irresistibilmente interessante e al tempo stesso odiosa.

Per il pubblico, il dilemma resta aperto: vedere Hikmet come cattiva o come vittima delle circostanze? La serie non offre risposte facili, ma dipinge un ritratto di donna complesso, dove odio, amore, paura e ambizione si intrecciano in maniera così credibile da lasciare lo spettatore sospeso tra repulsione e compassione. E tu, cosa pensi di Hikmet? È soltanto cattiva, oppure c’è qualcosa di più dietro il suo sguardo freddo e le sue decisioni calcolate?

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