LA NOTTE NEL CUORE: LA VENDETTA DI HIKMET E SAMET…
Nella penombra di una sera tesa e gravida di rancori, Hikmet camminava in silenzio tra i corridoi della villa dei Sezgin, con lo sguardo basso e il cuore pesante. Ogni passo era un richiamo alla vergogna subita, ogni ricordo un’eco dell’umiliazione inflitta da Umran, che senza alcuna pietà aveva gettato fango sul suo nome e sulla sua dignità. Aveva provato a rimanere in silenzio, ad allontanarsi, a chiudere gli occhi, ma ormai la misura era colma. La ferita bruciava, e Hikmet non era tipo da lasciar passare un’offesa così grave senza reagire. La sua era una rabbia silenziosa, fredda, che non cercava vendetta istintiva ma giustizia calcolata.
Nel frattempo, anche Samet, che aveva fino a quel momento mantenuto una calma apparente, iniziava a dar segni di un’insolita inquietudine. Lo sguardo era cupo, i movimenti rigidi, e le parole, seppur poche, taglienti come lame. Nessuno osava parlargli, nemmeno Umran, che sembrava percepire che qualcosa stava per cambiare. Non era chiaro se si trattasse di un castigo imminente o di una scelta radicale, ma Samet stava meditando da tempo sullo sfacelo della sua vita coniugale. Era stanco dei silenzi, dei tradimenti velati, dei giochi psicologici. L’uomo che un tempo aveva accettato ogni cosa per amore, ora aveva smesso di tollerare.
Hikmet, una sera, trovò il coraggio di affrontare Samet. I due si chiusero nello studio del piano superiore, lontani da occhi e orecchie indiscrete. “È tempo di reagire”, disse Hikmet con voce ferma. “Umran ha superato ogni limite. Non solo ha offeso me, ma ha calpestato la tua dignità giorno dopo giorno. Non puoi restare spettatore della tua stessa rovina.” Samet non rispose subito. Guardava fuori dalla finestra, osservando il cielo scuro e l’ombra dei cipressi. Poi annuì lentamente. “Hai ragione. È ora di finirla.” Il piano prese forma in pochi minuti, come se fosse già stato scritto nei loro pensieri da tempo.
La mattina seguente, la villa si svegliò in un silenzio diverso. Samet si presentò nella sala da pranzo con un abito scuro e lo sguardo impenetrabile. Umran, seduta a capotavola, fu la prima a notare che qualcosa era cambiato. Lui non la salutò. Nemmeno la guardò. Tutti gli altri presenti, compresi Zeynep e il vecchio Sezgin, rimasero in silenzio. Dopo il caffè, Samet si alzò. Disse solo poche parole, ma bastarono a far tremare i muri: “Ho depositato i documenti per il divorzio. Ho chiuso con te, Umran. Definitivamente.”
Lei sbiancò. Tentò di parlare, di chiedere spiegazioni, di negare ogni accusa, ma Samet era irremovibile. “Non voglio sapere più nulla. Tu hai distrutto tutto ciò che avevamo, e adesso ne pagherai le conseguenze.” Poi si voltò e se ne andò, lasciandola senza parole, con il cuore in gola e le mani tremanti. Quella non era una minaccia. Era una condanna.
Ma non finì lì. Hikmet, nel frattempo, aveva deciso di portare alla luce tutto ciò che sapeva. Aveva raccolto prove, testimonianze e lettere dimenticate: ogni parola scritta da Umran a Seifullah, ogni conversazione ambigua tra lei e uomini che orbitavano attorno alla villa, ogni segreto custodito troppo a lungo. Non voleva solo smascherarla: voleva toglierle ogni maschera.
E così, davanti a tutta la famiglia riunita, Hikmet raccontò ogni cosa. Rivelò la corrispondenza segreta tra Umran e Seifullah, gli incontri sospetti, i contatti con personaggi loschi legati al night club e a Ceida. Parlò del denaro speso, delle manipolazioni fatte, dei ricatti subiti. Ogni parola era come un coltello affilato, e Umran, seduta con lo sguardo vuoto, sembrava incapace di difendersi.
Ma fu quando Samet mostrò a tutti una lettera — scritta da Umran a Ceida in cui parlava apertamente del suo disprezzo per la vita coniugale e della sua volontà di “liberarsi” — che la situazione esplose. Il patriarca Sezgin si alzò di scatto, la fronte imperlata di sudore. “Hai infangato il nostro nome!” gridò. “Hai portato vergogna in questa casa!” Umran, finalmente, scoppiò in lacrime. Ma ormai era troppo tardi.
La decisione fu presa all’unanimità. Umran fu allontanata dalla villa. Le sue cose furono raccolte in fretta e lasciate nell’ingresso. Nessuno la accompagnò fuori. Nessuno le rivolse l’ultimo sguardo. La donna che un tempo dominava ogni stanza con la sua voce tagliente, ora se ne andava in silenzio, annientata dalla verità.
Samet, nel frattempo, si rifugiò in una nuova casa, un piccolo appartamento fuori città. Lontano dai clamori, lontano dal dolore. Ma anche libero. Per la prima volta dopo anni, respirava davvero. Guardava avanti con una consapevolezza nuova, quella di un uomo che ha saputo dire basta. E forse, nel suo cuore, sentiva un senso di pace che non provava da tempo.
Hikmet, invece, restò nella villa, ma da quel giorno il suo ruolo fu diverso. Gli sguardi che prima lo evitavano ora lo cercavano. Le sue parole, prima ignorate, venivano ascoltate. Aveva riconquistato rispetto e spazio, non con la violenza, ma con la verità.
Quella settimana segnò un punto di svolta per tutti. Nella casa dei Sezgin, il vento cambiò direzione. I silenzi divennero parole, i sospetti certezze, le bugie vennero spazzate via. E nel cuore della notte, mentre la villa dormiva, Samet e Hikmet sapevano di aver fatto ciò che andava fatto. Non era vendetta. Era giustizia.